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RACCONTO DI GUERRA
vita vissuta
martedì 28 novembre 2006, di
RACCONTO DI GUERRA
Ogni cittadino nelle società di tutti i tempi democratici ha espresso ed esprime ciò che meglio crede in funzione delle proprie esperienze, del proprio modo di vivere, delle proprie ambizioni. L’insieme di queste condizioni conduce ognuno di noi verso le grandi e le piccole scelte sociali.
Così il benessere come il malessere sono frutto di scelte giuste o errate su scala generale,causate in larga misura dagli istinti e dalle condizioni civili di ogni singolo soggetto componente la società.
Ogni uomo ,dunque, dà il proprio contributo perché il paese in cui vive abbia le condizioni necessarie per l’affermazione economica e quindi la prosperità.
Le società si evolvono secondo gli indirizzi che ogni cittadino esprime e sono tali che turbamenti, passioni, amori, istinti, odi, stiano alla base di ogni scelta di civiltà.
E’ così che nascono i grandi movimenti e i grandi pensieri nelle società; ed è così che nascono la guerra e la pace. Essi interpretano gli stati d’animo delle società:bontà e cattiveria in un susseguirsi di violenti avvenimenti, che misurano l’uomo e il suo essere sociale, nudo da ipocrisie e menzogne.
In questo quadro psico- sociale nasce la guerra:una condizione personale e sociale in cui vengono a mancare tutti gli elementi di mediazione ma prevale la furbizia, la prevaricazione, il ricatto, la violenza anche strisciante, la sottomissione forzata e così via.
Ma ogni uomo vive dentro di sé una propria guerra , che lo fa sentire libero da tutto ciò che lo rende insoddisfatto. L’insieme di queste piccole guerre personali
conduce ai grandi scontri sociali e alle vere e proprie guerre .
Anche altri elementi,tuttavia, intervengono a completamento del quadro bellicoso: la Patria e i propri valori, il sentimento di vittoria, l’ipotesi di guerra giusta e quant’altro si può pensare per avvalorare tale ipotesi.
Così un bel giorno le radio, le TV, i giornali, cominciarono a dare notizie in relazione a grandi ed inusuali movimenti di truppe presso i nostri confini, al di là della loro linea di demarcazione: lo Stato nostro confinante forse preparava la guerra? Questo si domandavano a grandi titoli i giornali del nostro Paese e tutta quanta la popolazione.
Per strada gruppi di persone parlavano preoccupate , nei bar e nei ritrovi pubblici , in famiglia, la preoccupazione era collettiva.
Le forze politiche, ognuna in proprio all’inizio, in seguito tutte insieme ,diedero vita a grandi menifestazioni di pace, erano intente a riunirsi, a discutere, a scrivere documenti, a cerare e a sdrammatizzare gli allarmi.
Le istituzioni, tutte, con i rispettivi Consigli, convocati d’urgenza e posti in seduta permanente, erano intente a manifestare tutto il loro sdegno nei riguardi della guerra che, per volontà di altri, con tutta probabilità sarebbe scoppiata.
La Chiesa, già mossasi col proprio volontariato per portare aiuti ed essere presente con tempestività nel momento del bisogno, sacrificava le proprie ore di preghiera alle richieste pressanti di pace. Il governo, sdrammatizzando, non faceva che avvalorare tutte le ipotesi, ivi compreso un conflitto bellico.
Ecco… questo era il quadro sociale in cui mi trovai a convivere un bel mattino di primavera mentre mi accingevo ad andare a lavoro.
La gente sembrava impazzita. Tutti volevano dire la loro:ognuno aveva la propria tesi e la propria risolutiva medicina. Addirittura c’erano i giovani così interessati, che molti di essi si eccitavano all’idea di partecipare ad una vera guerra.
Mi fermai a comprare il giornale e qualcuno mi chiese cosa ne pensassi .-A ndremo alla guerra?- Mi chiesero.- Mah, non so- risposi- è ancora prematuro parlare di conflitto, c’è da augurarsi che i nostri governanti riescano a scongiurarlo-.
Questo è vero- mi fece eco un signore- intanto però mio figlio è stato richiamato in servizio militare!-…- Anche il mio!-..- E il mio!- Risposero in diversi, facendomi davvero riflettere. Allora considerai l’ipotesi che la guerra fosse possibile, ma non abbandonai la speranza che ci fosse sempre spazio per qualche intesa.
No!- gridò un anziano signore- i nostri vicini sono popoli violenti e cercano da sempre di accaparrarsi i nostri territori,. sicuramente ci attaccheranno e noi dovremo essere pronti a difenderci-. –Mah- replicai- credo che gli interessi più che territoriali siano politici ed economici ed è proprio per queste ragioni che non dispero per la pace.
Ha ragione lui- urlò un giovane- non ci sono problemi territoriali, in fondo questo popolo non è neanche numeroso e il territorio in cui vive ed opera gli è più che sufficiente, esso vuole invece aiuti economici e spazi commerciali-.
Un’altra voce di donna si unì al coro e anch’essa sostenne la tesi che la guerra poteva essere scongiurata. La breve discussione ebbe termine e mi incamminai verso l’azienda dove lavoravo.
In ufficio trovai Gianna, La mia collega, anch’essa assai preoccupata per la possibilità di un imminente conflitto: ho mio fratello, è stato richiamato in servizio militare e la cosa mi turba assai. La trovai pallida in viso e, con tristezza mista a preoccupazione, mi disse che la guerra era ormai così prossima, che noi neanche ce lo immaginavamo. Io, comunque ,continuavo a non disperare sulla possibilità di trovare un accordo.
Non è possibile a questo punto trovare accordi- replicò lei-ormai è tutto finito: siamo alla invasione e dovremo difenderci. E’ probabile- continuai- però io spero ancora che le cose si aggiustino …vedrete che la guerra sarà sicuramente scongiurata-. –Cer
to- continuò lei- basta dare loro ciò che vogliono ma questo non sarebbe davvero accettabile!-
Ma cosa questa gente chiede lo sappiamo? –Mah, non lo so davvero, anche i giornali fanno tanta confusione, comunque non dobbiamo darla loro vinta-. – Allora- dissi- è possibile che abbiano un fondo di ragione e che si possano trovare condizioni di mediazione!-
Non credo- mi replicò- quella è gente che pensa soltanto ai propri interessi e non è mai stato possibile trovare accordi su niente-
Uscii dalla stanza cupo e pensieroso per la discussione avuta con Gianna e mi affacciai in un altro ufficio dove Mario mi disse: hai visto? Siamo alla guerra! E pensare che per tanti anni siamo stati in pace, quasi non ci credo: ma cosa cerca da noi quella gente! Guarda Mario- replicai- io sono dell’opinione che se un popolo pacifico d’un tratto fa la guerra , una ragione dovrà pur esserci, ed è ciò che dobbiamo capire e risolvere, intervenendo con decisione e con fermezza, usando
ogni strumento di pace che abbiamo a disposizione-.
Eh sì, tu ragioni bene, intanto figli e nipoti sono stati richiamati alle armi e tutto il paese è in fermento per colpa di questa gente, che non trova di meglio da fare che aggredirci per vivere alle nostre spalle e sfruttare il nostro lavoro-.
Perché- riflettei a voce alta- forse che il benessere, le risorse naturali, sono nostra esclusiva proprietà?- - Certamente- mi replicò- sono nostri e dovremo difenderli-.
Uscii pensieroso per le discussioni avute con i miei colleghi di lavoro e certamente il mio turbamento non migliorò quando scesi in strada: era in corso un furibondo temporale autunnale. La pioggia cadeva forte, le nuvole si addensavano in un cielo sempre più scuro e pauroso. Le saette volteggiavano fra le case e i tuoni rombavano
attraverso i vicoli che li amplificavano. Un gelido vento attraversava le vesti per giungere fin sulla pelle non pronta ancora ad affrontare basse temperature. La città si oscurava ad intermittenza finchè le luci si spensero definitivamente per lunghissime ore:un grosso guasto aveva interrotto la nostra centrale elettrica.
Giunsi a casa bagnato e infreddolito ma fermamente deciso a fare le valigie per andare nei luoghi dove si stava preparando la guerra.
Partii di buon ora il mattino seguente, la pioggia fitta e insistente cadeva ancora, il cielo era sempre più grigio, a malapena si intravedevano le sagome delle case, contavo comunque di arrivare a destinazione in tarda serata dello stesso giorno.
La distanza era tanta e il viaggio si svolgeva parte in treno e parte in aereo.
Con un piccolo bagaglio a mano e intabarrato in un comodo impermeabile che mi ricopriva fin sulla nuca ,mi accomodai nello scompartimento che trovai totalmente vuoto. Dopo una decina di minuti salì anche una giovane signora, credo non superasse i 30-35 anni. La salutai come si conviene in queste circostanze e l’aiutai a deporre il bagaglio sopra il sedile. Ella mi ringraziò per la gentilezza e ricambiò il saluto. Durante il viaggio, in un momento di pausa dalla lettura di una banale rivista, le chiesi dove fosse diretta. Mi rispose che aveva degli impegni di lavoro nei luoghi dove si preparava la guerra. -Sono una giornalista- disse e sono stata inviata dal mio giornale sui luoghi di tensione per fare dei servizi. Lei invece dove è diretto?-
Anch’io sto andando da quelle parti- risposi- ma non per lavoro, per vedere invece come davvero stanno le cose.-
Lei di tutto questo stato di cose cosa ne pensa?-le chiesi.
Mah, non saprei cosa rispondere, in fondo questo popolo penso si trovi in condizioni di grande bisogno di risorse e in un modo o nell’altro gli stati più ricchi dovranno pur fare qualcosa, non si può pensare oggi che un intero popolo rischi la fame, permettere che questo avvenga sarebbe una gravissima ingiustizia-
Sì- replicai-però il nostro paese non mi pare abbia fatto granchè oltre che prepararsi per la guerra, anzi mi sembra che non si sia posto minimamente il problema che questo popolo potesse avere problemi di sopravvivenza-.
Sa- mi rispose- questo è il frutto dell’egoismo che solitamente matura nelle condizioni di benessere e penso ci sia da fare ben poco per migliorarlo: però anche loro a voler fare subito la guerra! Avrebbero potuto usare altri mezzi.-
Mah- replicai- questo è pur vero, ma lei si metta nei panni di chi sta veramente male e non trova nessuno che l’aiuta e poi mi racconterà-.
Il dialogo ebbe una breve pausa perché il treno rallentò e tutti ci affacciammo al finestrino:era un semaforo rosso acceso per lavori e la cosa non ci turbò più di tanto.
Giunse così il momento delle presentazioni: -Io sono Roberto- dissi-
-Ed io Francesca!-.
E’ sposata?-
No sono nubile, sa col mio mestiere sarebbe stato tutto più difficile con la famiglia!- -E’ vero- risposi.
E lei invece è sposato?-
No, neanche io e credo ormai, vista l’età. che non lo sarò più-.
Ebbe termine il viaggio in treno dopo tante ore. Già alla stazione di arrivo trovammo
tantissimi soldati che attendevano di essere trasportati con i camion verso l’aeroporto. Noi vi giungemmo con un mezzo di fortuna e trovammo centinaia di soldati in assetto di guerra, tanta polizia e fummo soggetti ad una miriade di controlli.
Dopo lunghe ed interminabili soste ci sedemmo in aereo, davvero stanchi e assai meravigliati delle lungaggini burocratiche che avevamo dovuto subire.
Il viaggio in aereo durò alcune ore e francamente fu assai meno tranquillo del precedente:ci avvicinavamo alla zona di guerra e numerosi erano gli interrogativi che dentro di noi ci ponevamo: ci spareranno qualche missile? Arriveranno i caccia nemici? Nell’aereo c’era un silenzio di tomba. Tutti avevamo paura, anche dei nostri movimenti.
Arrivammo comunque a destinazione:era un piccolo aeroporto di frontiera, completamente controllato dai militari, circondato da case matte, da tende da campo, da posti di controllo blindati dotati di mitraglie. C’erano autoblindo sparse in tutto il campo, aerei da combattimento rollavano sulla pista insieme a tre grossi aerei bombardieri. Era notte fonda, le nuvole minacciose correvano in cielo mosse da un fortissimo vento. Per fortuna la pioggia era cessata perchè i canali di scolo nei dintorni dell’aeroporto tracimavano acqua da ogni parte. Ancora incappucciati nei nostri impermeabili ci incamminammo verso un posto di piccolo ristoro, appena illuminato. Francesca mi chiese dove fossi alloggiato, le risposi che ancora non lo sapevo. -Venga pure nel mio albergo allora! Sicuramente là troveremo una camera anche per lei.In fondo potrebbe essere il mio assistente fotografo!-
Mi piace l’idea- risposi- vada per il suo albergo e per l’assistente fotografo!.
Uscimmo e ci incamminammo verso i luoghi più a rischio: da quelle parti il confine si stendeva per qualche migliaio di chilometri: Laggiù erano disposti in pieno assetto di guerra centinaia e centinaia di soldati le cui ombre si perdevano lungo l’interminabile linea di demarcazione. Avevamo una cartina che ci illustrava tutte le postazioni militari poste lungo il confine. Notammo che ogni venti chilometri, ben realizzato e protetto si trovava un piccolo aeroporto. In mare ad est erano dislocate tre portarei e numerose navi da guerra per proteggerle. Centinaia di carrarmati correvano per tutto il confine. Intanto i caccia che avevamo sentito rollare sulla pista ora solcavano rumorosamente il cielo, rompendo lo scorrere delle nuvole e la furia del vento. Gli ordini secchi e chiari dei comandanti rompevano i silenzi della notte.
Tutto lasciava pensare che la guerra, lo scontro fra le parti fosse ormai questione di minuti. Ad un certo punto però una folla imponente di persone di ogni età, armate di cartelli e scritte pacifiste, comparve all’orizzonte. Erano migliaia di persone. Sui cartelli avevano scritto “vogliamo la pace”, su altri “siamo un popolo pacifico”, “chiediamo soltanto aiuti a chi ha tanta più ricchezza di noi”. E ancora, ma questa era la nostra gente”aiutiamo questa popolazione!” Dalla lingua parlata e dalle scritte capimmo dunque che quelle decine di migliaia di persone erano nostri concittadini e
persone dello Stato a cui stavamo per fare la guerra. Tutti gridavano pace, tutti si abbracciavano, ma i soldati no. I soldati delle due parti si guardavano e si caricavano con gesti di sfida. Poi ad un certo punto echeggiarono nell’aria ordini secchi: sparate! Sparate! E così fu. Intanto i manifestanti giungevano da ogni parte… erano diventati tantissimi ed anche Francesca si unì a loro e cominciò ad intervistarli. I soldati sparavano, sparavano tanto. Le mitraglie iniziarono a cantare inni di morte. Morirono in tanti… armati soltanto di pace e di fratellanza. Cadde anche Francesca, fu ferita a morte. La raccolsi, sanguinava dalla bocca e aveva un’ampia ferita all’addome.Era pallida e un triste sorriso le solcava il viso. Mi disse:- ciao amico mio! Hai visto quanta gente!? Tutti vogliono la pace, perché ci hanno sparato allora!?- Morì, morì
mentre tentavo di soccorrerla. Mi misi a piangere , ad urlare contro i soldati ma la mia voce si perse fra il rumore assordante dei colpi di arma da fuoco, del vento che fischiava forte, degli aerei che solcavano il cielo, delle grida di pace che i morti già facevano giungere alle nostre orecchie. Anch’io fui ferito ad una mano,fui poi medicato in un ospedale da campo.
Ma di colpo gli spari cessarono. Qualcuno dette l’ordine di fermarli. Era un signore piccolo .Seppi poi che era il comandante delle nostre truppe. Mi chiesi perché non l’avesse fatto prima e soprattutto perché mai tutto questo era cominciato. Lo chiesi a voce alta, poi lo urlai, qualcuno mi guardò con tristezza, altri si allontanarono, in molti si peroccuparono di rientrare nei ranghi come se niente fosse accaduto. Erano morte migliaia di persone perché qualcuno aveva dato l’ordine di sparare. La guerra però fu scongiurata perché all’ultimo momento i nostri governi avevano trovato un accordo. E tutti quei morti? continuai a chiedere
Questa volta ebbi una secca risposta:- E’stato un incidente, un maledetto incidente di guerra!-
Tornai a casa il giorno successivo e in ufficio i miei colleghi :- hai visto, tutto è andato per il meglio. La guerra non c’è stata: C’è stata soltanto qualche scaramuccia con alcuni civili scalmanati. Qualche ferito e niente più-
.Già- risposi- è andata proprio così . Due lacrime mi solcarono le guance,un nodo mi strinse la gola.
Era un’ assolata giornata di autunno, le foglie erano cadute copiose dagli alberi, qualche passero gironzolava in cerca di cibo, un lieve vento freddo colpiva le vesti e il corpo. Due occhi azzurri, forse, mi guardavano dal cielo:- Addio Francesca, davvero tutto questo ha avuto un senso?-